La corsa globale all’intelligenza artificiale generativa non rappresenta solo una questione tecnologica o economica, ma un fattore strategico di prim’ordine che ridefinisce gli equilibri di potere. Tuttavia, i modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM), motori di questa rivoluzione, operano perlopiù come ‘scatole nere’: potenti ma opache. Comprendere i loro meccanismi interni risulta cruciale non solo per l’affidabilità tecnica, ma anche e soprattutto per averne un reale controllo, una questione che ha rilievi persino di sicurezza nazionale e prevenzione di manipolazioni su vasta scala. Particolarmente rilevante, da questo punto di vista, è la ricerca condotta da Anthropic, attore di primo piano nel panorama IA statunitense, sul modello Claude 3.5 Haiku. L’obiettivo: creare un “microscopio” per mappare i circuiti computazionali interni, decifrando come l'”intelligenza” artificiale prenda forma.
Esaminando i risultati – dalla scoperta di ‘pensieri’ multilingue alle ‘allucinazioni’ logiche – diverse sono le riflessioni che possono nascerne, con profonde implicazioni strategiche e rischi per la cybersicurezza, nella vera sfida per la sovranità digitale e la competizione globale per l’egemonia tecnologica.
Introduzione: superare l’opacità dell’IA come sfida strategica
L’intelligenza artificiale generativa, incarnata da modelli come Claude di Anthropic, GPT di OpenAI o Gemini di Google, non è più confinata ai laboratori di ricerca. Si proietta come strumento di influenza economica, culturale e, soprattutto, geopolitica. Chi controlla le IA più avanzate, controlla potenzialmente flussi informativi, processi decisionali critici e nuove forme di potere computazionale. Eppure, questi colossi digitali permangono largamente come “black boxes”. La loro architettura, basata su reti neurali con miliardi di parametri, sfida la nostra capacità di comprendere come giungano a produrre testi, immagini o codice con apparente coerenza e creatività.
Questa opacità non rappresenta un mero dettaglio tecnico, bensì una vulnerabilità strategica. Come fidarsi di un sistema che non si comprende appieno per la gestione di infrastrutture critiche, per l’analisi di intelligence, per la consulenza in decisioni ad alto rischio o per la difesa da attacchi informatici sempre più sofisticati? La potenziale generazione di output fallaci, affetti da bias nascosti o deliberatamente ingannevoli (le cosiddette “allucinazioni”) costituisce un rischio operativo e di sicurezza inaccettabile in numerosi contesti. La difficoltà nel diagnosticare e correggere comportamenti anomali rende questi sistemi imprevedibili, minando la fiducia necessaria per una loro integrazione profonda nei gangli vitali delle nostre società e dei nostri apparati di sicurezza.
Chi studia come rendere l’IA comprensibile cerca di fare luce su questo mistero. Ovviamente, non lo fa per mero interesse scientifico, ma perché, già oggi, è in atto una vera e propria corsa per riuscire a ‘guardare dentro’, capire e alla fine controllare queste tecnologie così potenti.
In tale contesto, Anthropic ha sviluppato una propria metodologia, nel tentativo di semplificare la comprensione dei circuiti interni dell’IA, identificando le parti specifiche della rete neurale che svolgono compiti precisi. Capire come ragiona l’IA dall’interno risulta fondamentale per assicurarsi che faccia quello che vogliamo noi (in modo sicuro e allineato ai nostri obiettivi e valori), per impedire che venga impiegata per arrecare danni e per difenderci meglio da manipolazioni o attacchi perpetrati utilizzando l’IA. Poter garantire l’affidabilità dei modelli di IA è pertanto uno obiettivo strategico primario per tutte le aziende che oggi competono nella gara per la supremazia del proprio prodotto (anche e soprattutto per potersi accreditare come partner affidabili di governi e multinazionali), una gara nella quale cui chi comprende meglio, comanda.
Metodologie di indagine: il microscopio per ‘spiare’ dentro l’IA
L’approccio di Anthropic mira a superare le analisi superficiali input-output, tentando una vera e propria “intelligence” interna al modello. Ispirandosi alle neuroscienze – che cercano di mappare funzioni cognitive su circuiti neurali biologici – l’obiettivo consiste nel costruire una sorta di ‘microscopio per l’IA’: un arsenale di tecniche computazionali per visualizzare e analizzare l’attività dei neuroni artificiali mentre il modello elabora informazioni.
Questa ‘introspezione’ tecnologica si fonda sull’identificazione e la mappatura di concetti umani (un luogo, un’emozione, una relazione logica) su specifici pattern di attivazione o su interi circuiti computazionali (ovvero delle sottoreti funzionali all’interno del modello). Identificare una sezione che si attiva specificamente quando il modello discute di cybersicurezza o riconosce un tentativo di jailbreak (l’equivalente IA di un’evasione dai sistemi di sicurezza) consente di passare da una semplice osservazione comportamentale a una potenziale comprensione del meccanismo sottostante.
Risultati salienti: cosa accade nella mente artificiale?
L’indagine condotta ha portato alla luce comportamenti interni del modello Claude che si rivelano a tratti sorprendenti, con implicazioni dirette di medio e lungo periodo per la strategia e la sicurezza informatica globale. Questi risultati offrono uno spaccato inedito sulle dinamiche computazionali che sottendono le capacità, ma anche le potenziali fallacie, delle intelligenze artificiali generative.
Spazio concettuale condiviso e transfrontaliero
Una delle scoperte più interessanti riguarda l’esistenza di rappresentazioni interne, a livello dei circuiti neuronali, che appaiono condivise per concetti analoghi espressi in lingue diverse. Ad esempio, i pattern di attivazione associati all’idea di “città” mostrano somiglianze significative indipendentemente dal fatto che il modello stia processando un testo in inglese (“city”) o in italiano (“città”). Ciò suggerisce che l’LLM non operi semplicemente sulla superficie linguistica, ma sviluppi un livello di astrazione concettuale più profondo, quasi una “lingua franca” interna.

Se, da un lato, questo dischiude potenzialità inedite per la traduzione automatica avanzata e l’analisi di intelligence multilingue, dall’altro apre nuovi e più subdoli vettori per campagne di influenza o disinformazione cross-culturali. Manipolare le rappresentazioni concettuali profonde potrebbe consentire di aggirare i filtri basati sulla lingua e rendere tali operazioni assai più difficili da individuare e contrastare.
Pianificazione anticipata (o autonomia emergente?)
Contrariamente all’idea di un processo generativo puramente sequenziale e locale (parola dopo parola), l’analisi dei circuiti interni durante la produzione di testi complessi, come codice informatico o composizioni poetiche con vincoli metrici e di rima, rivela segni di pianificazione più strutturata. Il modello sembra attivare circuiti che prefigurano elementi futuri della sequenza, come se anticipasse le scelte lessicali o strutturali necessarie per mantenere la coerenza a lungo termine (ad esempio, in una composizione poetica, l’IA pensa alla rima da abbinare al verso precedente prima di generare il verso successivo, piuttosto che in maniera sequenziale).
Da un punto di vista strategico, ciò indica capacità operative e di gestione delle dipendenze temporali più sofisticate di quanto si ritenesse, avvicinandosi a forme rudimentali di pianificazione. Solleva però interrogativi fondamentali: fino a che punto questa capacità di “guardare avanti” può evolvere verso un’autonomia decisionale non prevista o non desiderata? La questione del controllo su sistemi capaci di pianificazione autonoma, ancorché limitata, diventa ancora più centrale e complessa.
Creazione di falsi ragionamenti e inaffidabilità intrinseca
Un’osservazione particolarmente allarmante concerne la tendenza di Claude, comune peraltro a quasi tutti gli LLM, a generare spiegazioni o catene di ragionamento che, pur apparendo logicamente coerenti e plausibili all’utente, si rivelano, all’analisi interna dei circuiti, costruite a posteriori o disconnesse dalla reale computazione che ha determinato la risposta finale. Il modello, in pratica, può “inventare” una giustificazione convincente per una conclusione raggiunta tramite scorciatoie o euristiche interne non valide.
Questo fenomeno di fabricated reasoning rappresenta una seria minaccia all’affidabilità intrinseca di questi sistemi. È evidente come l’impiego di LLM per attività critiche quali analisi di intelligence, supporto decisionale, reportistica investigativa o validazione scientifica richiede un livello di scrutinio estremamente elevato. Il rischio di fondare decisioni di rilevanza cruciale su verità artefatte, elegantemente confezionate ma fondamentalmente false, è più che concreto e apre scenari inquietanti per la manipolazione dell’informazione e la cosiddetta guerra cognitiva.
Riluttanza speculativa e sicurezza programmata
In contrasto con la loro propensione al fabricated reasoning, i ricercatori hanno osservato una tendenza predefinita del modello a evitare speculazioni o risposte inventate quando non dispone di informazioni fattuali certe. Claude sembra programmato per rispondere “non so” o per segnalare l’incertezza, a meno che specifici meccanismi interni – attivati forse dal contesto del prompt o da istruzioni mirate – non intervengano attivamente per “sbloccare” o inibire questa cautela predefinita.
Se da un lato, questa potrebbe probabilmente configurarsi come una misura di sicurezza incorporata (“by design”) per mitigare la generazione incontrollata di ‘allucinazioni’, dall’altro, però, costituisce un meccanismo la cui logica e i cui trigger devono essere compresi a fondo e risultano ad oggi non totalmente affidabili. Comprendere cosa inibisce la cautela del modello risulta fondamentale per la cybersicurezza di questi sistemi, poiché tecniche di jailbreak avanzate potrebbero mirare proprio a bypassare questi freni inibitori e indurre il modello a generare contenuti dannosi o illegali.

Pertanto, il principale obiettivo dell’analisi ‘meccanicistica’ dei processi cognitivi interni all’IA è oltre la semplice osservazione del comportamento manifesto: deve invece ‘dissezionare’ criticamente come un’IA affronti compiti specifici: ad esempio, distinguendo quando il ragionamento complesso esibito è frutto di passaggi computazionali solidi e quando invece maschera scorciatoie o il fenomeno del fabricated reasoning, rivelando così l’inaffidabilità intrinseca delle sue auto-spiegazioni.
Analogamente, nel contesto della sicurezza, non può limitarsi a constatare il successo o fallimento di un jailbreak, ma deve mirare a identificare i circuiti specifici che riconoscono (o non riconoscono) la minaccia e i meccanismi che inibiscono (o falliscono nell’inibire) la ‘riluttanza speculativa’ di default. Questo livello di analisi fornisce un quadro decisamente più nitido non solo delle capacità operative, ma soprattutto delle vulnerabilità architetturali intrinseche e della reale efficacia (o fragilità) dei meccanismi di controllo interno, al di là delle metriche superficiali.
Comprendere il perché un modello agisce in un certo modo fornisce informazioni cruciali per chiunque, a livello istituzionale o aziendale, debba decidere se e quando impiegare queste tecnologie in modo sicuro, oltre che sviluppare contromisure efficaci alle minacce che esse possono veicolare.
Implicazioni, limiti, ed equilibri geopolitici
La capacità di ‘leggere nella mente degli LLM’ si configura, dunque, come molto più di un traguardo scientifico: è una necessità strategica. Va ben oltre la pura ricerca accademica, investendo direttamente la sicurezza, la competitività economica e la sovranità degli Stati nell’era digitale. Comprendere i meccanismi interni di queste potenti menti artificiali è diventato un imperativo per qualunque attore di rilievo che aspiri non solo a utilizzare l’IA in modo efficace, ma anche a governarne le traiettorie e mitigarne i rischi intrinseci.
Le implicazioni per la sicurezza e la difesa risultano profonde e complesse. L’analisi dei circuiti interni non rappresenta solo un esercizio teorico; costituisce il primo passo concreto per identificare le vulnerabilità specifiche che potrebbero essere sfruttate da attori statali o non statali ostili per compromettere sistemi basati su IA, per condurre attacchi informatici più sofisticati o per diffondere disinformazione mirata. Permette, inoltre, di rilevare e potenzialmente correggere bias nascosti che potrebbero inficiare analisi di intelligence determinanti o portare a decisioni operative discriminatorie o errate sul campo. In questo quadro, costruire difese robuste contro minacce veicolate dall’IA – si pensi ai deepfake utilizzati per destabilizzare l’opinione pubblica o alle campagne di influenza automatizzate – richiede una comprensione approfondita di come queste minacce vengano processate (o eluse) dai modelli stessi. La comprensione, quindi, cessa di essere un’opzione e diventa un requisito non negoziabile per l’impiego affidabile e responsabile dell’IA nei settori critici, dalla difesa all’intelligence, dalla gestione delle crisi alla protezione delle infrastrutture vitali. Il concetto stesso di ‘allineamento dell’IA’ (AI Alignment), ovvero garantire che i sistemi agiscano in conformità con gli intenti umani, trascende la dimensione etica per diventare un problema concreto di sicurezza nazionale.
Sul piano della competizione globale e della sovranità digitale, la padronanza delle tecniche di interpretabilità si delinea come un fattore chiave di vantaggio strategico. Anche sul piano geopolitico, nella corsa all’IA che vede contrapposti principalmente Stati Uniti e Cina, ma con altri attori emergenti, la capacità non solo di costruire modelli potenti, ma anche di comprenderli e controllarli a fondo, sarà determinante. La leadership nell’interpretabilità si traduce, infatti, in un vantaggio competitivo diretto: chi comprende meglio i propri modelli (e forse ancor più quelli altrui) può sviluppare sistemi più sicuri, più efficienti, meno inclini a errori catastrofici e più facilmente adattabili a specifici compiti strategici. Questo rafforza la sovranità tecnologica e digitale di una nazione, riducendo la dipendenza da tecnologie opache sviluppate altrove. Affidare funzioni critiche a “scatole nere” progettate e controllate da potenze straniere rappresenta, al contrario, un rischio strategico considerevole, esponendo a potenziali vulnerabilità nascoste o a dipendenze tecnologiche difficili da sciogliere.
Anche nelle applicazioni civili strategiche, la capacità di validare il funzionamento interno dell’IA sarà essenziale. Nel settore finanziario, comprendere come un modello valuti i rischi è cruciale per prevenire crisi sistemiche innescate da algoritmi inintelligibili. In medicina, la fiducia in una diagnosi automatica o in una proposta terapeutica generata da IA dipende dalla possibilità di verificare il “ragionamento” sottostante, garantendo la sicurezza del paziente. Nella gestione delle reti energetiche o nei sistemi di trasporto autonomo, la dimostrazione della sicurezza e dell’affidabilità passa necessariamente attraverso la comprensione e la validazione dei meccanismi decisionali interni.
Tuttavia, la strada verso una piena interpretabilità rimane ancora disseminata di ostacoli significativi. L’analisi dei circuiti, specialmente per modelli con miliardi di parametri che interagiscono in modi complessi e non lineari, richiede ancora un enorme sforzo umano, non solo in termini di tempo ma soprattutto di acume interpretativo per formulare ipotesi sensate e validare i risultati. L’automazione completa di questo processo appare ancora lontana. Le tecniche attuali, pur in evoluzione, riescono a cogliere solo una parte limitata del funzionamento interno, lasciando vaste aree della computazione del modello ancora avvolte nell’oscurità.
Inoltre, la generalizzazione dei risultati si rivela problematica: un circuito identificato in un modello specifico, o addirittura in una specifica sessione di addestramento, potrebbe non essere presente o funzionare allo stesso modo in altri modelli, anche simili. L’opacità, quindi, permane come un dato di fatto ineludibile e un rischio strategico concreto con cui governi e aziende dovranno confrontarsi nel breve e medio termine, imponendo cautela nell’adozione di queste tecnologie per compiti critici.
Le prospettive future appaiono orientate verso una corsa all’automazione e alla scalabilità delle tecniche di interpretabilità, per renderle applicabili in modo più efficiente e sistematico a modelli sempre più grandi e complessi. Parallelamente, si esplorano approcci per integrare l’interpretabilità direttamente nei processi di addestramento, con l’obiettivo ambizioso non solo di comprendere i modelli ‘a posteriori’, ma di costruire future generazioni di IA che siano intrinsecamente più trasparenti e progettate fin dall’inizio per essere più facilmente ispezionabili e sicure. Questo rappresenta un cambio di paradigma fondamentale per il futuro della disciplina.
Conclusione: decifrare l’IA per governare il futuro
La ricerca di per mappare i circuiti decisionali dei modelli di IA risulta emblematica di una sfida cruciale del tempo che verrà: comprendere gli ‘schemi di pensiero’ delle intelligenze artificiali che stanno rapidamente diventando infrastrutture portanti delle nostre società. Non si tratta solo di soddisfare una curiosità scientifica, ma di acquisire il controllo su strumenti potenti e potenzialmente destabilizzanti. Comprendere come ragionino queste macchine appare indispensabile per garantirne la sicurezza, allinearle ai nostri interessi strategici e valori etici ed evitare che diventino vulnerabilità sfruttabili da avversari o attori ostili. Chi riuscirà a decifrare e governare le ‘menti artificiali’ avrà in mano una leva fondamentale per plasmare il futuro.