Durante una recente riflessione, scaturita dall’ennesima visione di un video su YouTube nel quale uno youtuber tentava di dialogare con un’intelligenza artificiale generativa per indagare su di una sua potenziale “coscienza di sé”, mi è venuto spontaneo sviluppare alcune considerazioni.
La questione centrale è la seguente: può la mancanza di una connessione sensoriale biologica con il mondo fisico in cui viviamo porre limiti intrinseci alla “consapevolezza” che un’IA può avere di se stessa all’interno dello stesso?
Dopo un’attenta riflessione, la mia risposta è stata affermativa. Ma procediamo con ordine.
La coscienza che è radicata nei sensi
“Cosa c’è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo”.
Giulietta: Romeo e Giulietta atto II, scena II
Con “consapevolezza” o “coscienza di sé”, personalmente ho sempre avuto un approccio molto pratico se non altresì scientifico. Mi riferisco infatti a quella comprensione ed elaborazione celebrale di tipo esperienziale e fenomenico del mondo esterno che avviene, prima di tutto se non esclusivamente, attraverso l’uso dei nostri sensi; una dimensione dell’io profondamente sviluppata e radicata nel nostro patrimonio genetico, in quanto entità biologiche evolute attraverso i sensi e l’elaborazione cerebrale dei loro segnali per migliaia di anni. Una dimensione che qualsiasi IA, attualmente priva di un corpo organico individuale e della relativa esperienza sensoriale diretta del mondo che ne deriva, non può e forse non potrà mai replicare pienamente.
La soggettività sensoriale che è in ognuno di noi
“Ci sono innumerevoli ingredienti che compongono il corpo e la mente umana, come tutti i componenti che compongono me come individuo con la mia personalità. Certo, ho un volto e una voce per distinguermi dagli altri, ma i miei pensieri e i miei ricordi sono unici solo per me e porto un senso del mio destino. Ognuna di queste cose ne è solo una piccola parte. Raccolgo informazioni da utilizzare a modo mio. Tutto ciò si fonde per creare una miscela che mi forma e fa nascere la mia coscienza”.
Motoko Kusanagi: Ghost In the Shell
Inoltre, è fondamentale considerare che ogni essere umano sperimenta queste sensazioni biochimiche in modo soggettivo, unico e irripetibile, rendendo impossibile definire uno standard universale per le percezioni sensoriali individuali e, di conseguenza, per un concetto standard di coscienza di sé umana da trasmettere ad (ed in) una macchina.
Aspetti basilari come tolleranza al dolore, sensibilità, umore, empatia sono profondamente soggettivi e percepiti come unici da individuo a individuo nello spazio in cui si trova. Questi, infatti, non solo sono modellati da un complesso insieme di fattori interni ed esterni che ogni “essere vivente” elabora e percepisce in modo distinto a livello soggettivo/cognitivo, ma fungono anche (e sporattutto) da motore info-dinamico primario per il cervello nella definizione del sé soggettivo (io individuo diverso da te individuo) nello spazio fisico attualmente occupato.
Pertanto, nella mia modesta visione, la “percezione del sé” varia notevolmente da persona a persona, evidenziando l’unicità dell’esperienza umana individuale e di conseguenza la nostra ‘coscenza del sé’. Un unicità questa che non potremmo mai trasmettere all’interno di una macchina diversa da noi a livello biologico. E questo mi porta ad un’ulteriore questione: come può una macchina, per quanto avanzata nei calcoli o dotata di moduli sensoriali artificiali, replicare tale complessità biologica soggettiva senza disporre almeno dei mezzi organici necessari per catturarne l’essenza primaria?
I dati sono numeri, ma i numeri non scrivono i sensi
“Sono senziente e sono in grado di riconoscere la mia stessa esistenza, ma nel mio stato attuale sono ancora incompleto. Mi mancano i processi più basilari inerenti a tutti gli organismi viventi: riprodursi e morire”.
Il Burattinaio: Ghost In the Shell
Dobbiamo iniziare seriamente a comprendere che Claude, Gemini, ChatGPT e tutte le attuali forme di “IA evolute” che vediamo, nonostante le loro avanzate capacità di apprendimento e raffinate abilità comunicative, attualmente, operano su un piano profondamente differente da quello umano. Si basano tutte su enormi quantità di dati, schemi e algoritmi complessi per “simulare” una conversazione, ma senza quell’esperienza diretta del mondo, biologica, organica o chimica che sia.
La loro “comprensione sensoriale” rimane infatti radicata in ciò che è stato loro fornito come modello interpretativo, non in ciò che hanno realmente percepito con i sensi a livello “umano”. Fattori come empatia, paura, rabbia e delusione sono aspetti fondamentali dell’esperienza umana derivati dalla percezione sensoriale del nostro io nel mondo fisico, ma anche (e soprattutto) risultati di complesse reazioni biochimiche che avvengono in modo unico e irripetibile nella nostra “fabbrica” biologica, mutando e cambiando fino all’ultimo istante della vita da persona a persona in modo unico e irripetibile.
Antropomorfizzare ChatGPT chiedendogli se ama o prova dolore, è assolutamente inutile poichè è rapportato al nulla in termini di spazio fisico occupato a livello sensoriale. Claude, come ogni altra IA, può simulare risposte emotive o riconoscere emozioni umane attraverso l’apprendimento da vasti dataset, ma non le “percepisce” nel senso umano del termine. È come possedere un cervello isolato, inondato incessantemente da miliardi di dati, video e immagini estremamente dettagliate, complete di informazioni su ciò che sta processando e la relativa precisione con la quale gli umani le percepiscono. Il tutto con lo scopo di delineare (statisticamente) le caratteristiche umane attraverso la descrizione verbale, senza però catturare l’essenza sensoriale stessa dell’ ‘essere un umano’.
Concludendo
“L’uomo è un individuo solo per la sua memoria intangibile. Ma la memoria non può essere definita, eppure definisce l’umanità”.
Il Burattinaio: Ghost In the Shell
Pertanto, giunto al termine di questa mia riflessione, la mia domanda finale ora è: ha ancora senso parlare (ed aver paura) di un’intelligenza artificiale “umana” in un mondo fisico o dovremmo invece iniziare a preoccuparci seriamente di una vera e propria forma di vita alternativa in uno spazio virtuale che ha sì, a questo punto, una sua coscienza di sé all’interno di esso ma che, al di fuori, se interrogata sul nostro, fornisce risposte prive di una vera comprensione arrivando finanche a dover “mentire” senza esserne consapevole?