Sono sempre più numerosi i video che mostrano colonne di truppe azere in movimento presumibilmente verso i confini con l’Armenia e con il Nagorno Karabakh. Circolano, inoltre, numerose notizie riguardanti presunti trasporti di munizionamento e armamenti provenienti da Israele e dalla Turchia verso Baku.
Negli ultimi mesi l’Azerbaijan è intervenuto chiudendo unilateralmente il corridoio di Lachin, una fascia di territorio che collega Yerevan ai territori controllati dalla Repubblica dell’Artsakh.
Questi fatti danno concretezza all’ipotesi di una nuova escalation militare tra i due paesi a causa della situazione di stallo del processo di pace. Il contesto, infatti, potrebbe aver convinto Baku della necessità di una ripresa delle ostilità e di uno sforzo bellico, il quale potrebbe avere come obiettivo o il definitivo annientamento della Repubblica dell’Artsakh o l’invasione diretta dell’Armenia per creare un corridoio con la Repubblica Autonoma di Naxçıvana, exclave azera stretta tra Iran, Armenia e Turchia.
Nel caso di un conflitto diretto, è molto probabile che sarà Yerevan a soccombere. Soprattutto perché gli armeni si trovano quasi isolati dal punto di vista internazionale, mentre gli azeri possono contare sul controllo incondizionato della Turchia, sul sostegno militare di Israele e sui buoni rapporti con la Russia.
L’Armenia è ormai da tempo in aperta polemica con i suoi alleati del CSTO[1], ai quali rimprovera un mancato aiuto in occasione della guerra nel 2020, e soprattutto la leadership politica armena non sembra più godere della fiducia da parte del Cremlino. Recentemente i russi hanno invitato il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ad assumersi le proprie responsabilità, dopo una dura intervista che quest’ultimo ha rilasciato a La Repubblica due giorni fa. Tra le varie dichiarazioni, Pashinyan ha affermato che a Lachin i russi hanno fallito nella loro missione di mantenimento della pace, che Mosca non ha intenzione o non ha la possibilità di garantire la sicurezza dell’Armenia e che è stato un errore avere come unico fornitore militare la Federazione russa. Quindi, in caso di conflitto sembrerebbe difficile immaginare che Yerevan possa contare sul supporto dei suoi alleati per risollevare le proprie sorti, anche se una mancata azione del CSTO in caso di un nuovo conflitto potrebbe minare la credibilità sul valore dell’alleanza stessa.
In ultima ipotesi è possibile che l’aumento delle tensioni e la minaccia della ripresa delle ostilità siano uno strumento di pressione azera (ma non solo) che mira ad un cambio dei vertici politici della controparte per poter sbloccare i negoziati di pace. In questa direzione,un primo successo potrebbe essere stato raggiunto con le dimissioni da presidente della Repubblica del Artsakh Arayik di Arayik Harutyunyan (in carica dal maggio 2020).
Riferimenti
↑1 | sigla che sta per Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva/Collective Security Treaty Organization è un’organizzazione internazionale di difesa collettiva fondata nel 2002 da Russia, Bielorussia, Kazakistan, Armenia, Kirghizistan e Tagikistan. Il suo obiettivo principale è quello di garantire la sicurezza e la stabilità nella regione euroasiatica attraverso la cooperazione tra i suoi membri |
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