Il 27 settembre 2022 Meta[1] ha dichiarato di aver smantellato due reti di disinformazione[2] provenienti dalla Russia e dalla Cina. Secondo quanto si apprende da un report pubblicato dall’azienda sul proprio sito, ambedue le reti miravano ad inquinare il dibattito pubblico di alcuni Paesi europei, prendendo di mira principalmente le community di utenti sul social network Facebook.
Russi e cinesi
Dalle analisi è emerso che, in entrambi i casi, le informazioni malevoli miravano a criticare il supporto europeo all’Ucraina, anche se i vettori declinavano in modo diverso il messaggio.
La rete cinese, ad esempio, puntava a mettere in guardia gli utenti dai tentativi di demonizzare la Cina per la sua vicinanza alla Russia, piuttosto che concentrarsi sulle dinamiche del conflitto. Mentre la rete russa – che secondo il rapporto è la più grande e sofisticata mai trovata dall’inizio del conflitto in Ucraina – operava con lo scopo di diffondere notizie false sugli argomenti legati alla guerra, principalmente in Germania, Francia, Italia, Ucraina e Stati Uniti. Anche le strutture sembrerebbero molto diverse: quella cinese era composta da un certo numero di profili di utenti completamente falsi, una geografia molto semplice, mentre la rete russa era molto più sofisticata con utenti falsi, indirizzi web fasulli e canali Telegram ad hoc.
Social media come strumento della propaganda
Grazie alla pubblicazione del rapporto di Meta è possibile fare delle considerazioni molto rilevanti in merito al mondo dell’informazione sui social network.
I social media sono uno degli strumenti che viene utilizzato per le attività di bieca propaganda organizzata. Se un’informazione falsa è online, questa si trova lì per un motivo e uno scopo ben preciso. È ormai chiaro che dietro la diffusione delle notizie false c’è sempre un interesse (politico, commerciale, securitario, etc.) e una struttura che le veicola. È probabile che queste strutture organizzate siano tantissime e che i loro scopi siano potenzialmente infiniti.
Si consideri, infatti, che parliamo di una patologia di un’economia – quella dei dati informatici – che ha come core business l’attenzione degli utenti e che, pertanto, gli attori malevoli potrebbero avere l’interesse ad orientarla in molteplici modi. In questo contesto, gli operatori (colossi del web) sono più interessati a migliorare la propria infrastruttura di base (l’algoritmo di suggerimento) mirando sempre di più a catturare l’attenzione dell’utente e questa tendenza porta ad avere poca considerazione della qualità del prodotto diffuso.
Per questo insieme di motivi, i social media si prestano a divenire l’ambiente ideale per un’organizzazione che abbia un fine preciso, sia esso commerciale, politico, goliardico o sovversivo e costituiscono un ambiente in cui agire in modo coordinato e strutturato risulta tutt’altro che impossibile.
Gli utenti non sanno difendersi dalla disinformazione
L’illusione che sui social media, i messaggi e le informazioni emergano come risultato della libera interazione degli utenti è un mito che dovrebbe ormai essere tramontato, ma che costituisce una credenza che persiste – anche inconsapevolmente – nella maggior parte della popolazione.
C’è un velo di Maya che porta la maggioranza delle persone a non capire che non tutto quello che trovi su internet è vero e la lusinga di una finissima, sofisticata e attenta trama impedisce ai più di compiere semplici gesti e azioni che lo squarcino.
Gli utenti sono inermi di fronte al fenomeno della disinformazione perché le principali piattaforme non hanno fatto nulla o poco (specialmente durante la loro grande ascesa) per segnalare il problema e per porvi rimedio.
Quello che traspare chiaramente dal rapporto Meta è che l’azienda non ha il pieno controllo di quello che accade nella propria community, né è in grado di assicurarne i perimetri o di fermare gli attori malevoli; non è in grado, altresì, di consentire che gli utenti possano liberamente esprimersi senza il timore di essere manipolati.
Esiste la possibilità di contrasto
Nonostante il rapporto rappresenti un pregevole caso, l’azione di detection di queste reti (dis)informative da parte delle proprietà delle piattaforme è del tutto inadeguata. Nel caso di Meta è verosimile ritenere che azioni di questo tipo vengano messe in atto più per motivi di reputazione aziendale piuttosto che per un drastico cambio di orientamento sul livello della qualità dei contenuti delle piattaforme.
Basta andare sul blog ufficiale della società e cercare report simili[3], la dichiarata provenienza delle reti disinformative bloccate (Russia, Cina, Iran e Paesi che quasi mai sono occidentali) o i contenuti veicolati (quasi sempre politici) per comprendere come quanto questo tipo di contromisure siano poco diffuse.
Tuttavia, questi episodi, al di là del significato e della loro rilevanza specifica, forse ci consentono di aprire un piccolo squarcio e di dimostrare che – a differenza della vulgata diffusa – i proprietari dei social media possono agire contro la disinformazione in modo deciso e definitivo, colpendo e – letteralmente – spegnendo gli agenti impegnati nella diffusione di notizie false.