Domenica 8 gennaio, con stupore e angoscia il mondo vede i sostenitori del già presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, prendere d’assalto il Palazzo del Parlamento e altri edifici governativi federali a Brasilia. Le incredibili immagini delle devastazioni, degli assalti e delle inquietanti connivenze della Polizia impazzano sulle pagine dei maggiori siti di informazione e sui social media.
Assalto alla democrazia
L’eccezionalità dell’evento fa capire a tutti – e soprattutto al presidente legittimamente eletto Luiz Inácio Lula da Silva – che la situazione per la democrazia in Brasile è molto critica e che è probabilmente in corso un tentativo di colpo di Stato. L’obiettivo dei Bolsonaristas (termine con il quale si definiscono i sostenitori di Bolsonaro) è quello di forzare la mano all’esercito invitandolo ad intervenire per ripristinare, a loro giudizio, l’ordine e la legalità. I video testimoniano i tratti grotteschi dell’insurrezione, chi assalta sembra appena uscito dallo stadio: chi devasta tutto avvolto nella bandiera verde oro o indossando la maglietta di Neymar, chi riprende gli avvenimenti con il telefonino e chi si inquadra la faccia urlando in diretta che la democrazia è stata defraudata dai brogli elettorali.
La giornata si è conclusa con esito opposto: le forze di sicurezza sono intervenute, ma per sgomberare e arrestare i manifestanti. I Palazzi del Potere vengono svuotati dalla turba e quello che rimane sono solo le macerie di una democrazia scossa che ci metterà decenni a riprendersi.
Similitudini con l’assalto a Capitol Hill
La tensione in Brasile è stata per mesi altissima, anche a seguito di una durissima campagna elettorale[1], tuttavia in pochi[2] avevano immaginato che avremmo assistito al remake sudamericano di un film già visto con l’assalto a Capitol Hill: il 6 gennaio 2021, infatti, i sostenitori del 45° Presidente Donald Trump, accorsi per la manifestazione Save America March, decidono di assaltare il palazzo del Campidoglio, sede del Congresso degli Stati Uniti, per contestare il risultato delle elezioni del 2020 e per sostenere la richiesta di Trump di impedire la proclamazione di Joe Biden a 46º Presidente.
Un paese polarizzato: democrazia a rischio?
Al termine delle elezioni dell’ottobre 2022, il presidente uscente Bolsonaro ha seguito la stessa strategia che Donald Trump ha seguito nel 2020: ha consentito che avvenisse il passaggio di consegne alla nuova amministrazione[3], ma ha deciso di non riconoscere la vittoria del suo avversario Lula e di denunciare dei brogli rivolgendosi ai Tribunali.
Il non riconoscimento della vittoria all’avversario, in un contesto democratico, ha un significato preciso di delegittimazione del vincitore. Questo fatto non è una banalità perché mira a galvanizzare i propri sostenitori e a prepararli per un passo successivo (il metodo è ben noto anche noi in Italia: nel 2006 Silvio Berlusconi, sconfitto alle elezioni, parlò di frode elettorale e chiese al Ministro degli Interni di invalidare le elezioni[4]). In Brasile, il messaggio è stato perfettamente recepito dai sostenitori di Bolsonaro, che nei mesi della transizione hanno scatenato tutta la loro rabbia con manifestazioni, sit-in e blocchi stradali[5].
Internet come strumento di radicalizzazione
In questa fase, le infrastrutture digitali hanno svolto una funzione fondamentale: i social media sono diventati il vettore in grado di stimolare i sentimenti e le frustrazioni popolari fino all’esasperazione finale. Secondo quanto riportato dal Washington Post[6], i sostenitori di Bolsonaro hanno organizzato le proteste e l’azione di domenica 8 gennaio utilizzando direttamente i più noti e diffusi social media. Prima e dopo i risultati elettorali, Telegram, TikTok e Twitter sono stati utilizzati per veicolare messaggi che incitassero i Bolsonaristas all’aperta rivolta e sono stati utilizzati anche per organizzare e coordinare i trasporti delle persone che hanno partecipato all’assalto di domenica.

In linea generale, i social media sono stati il principale veicolo della disinformazione post elettorale[7].
Citando analisti di Rest of the world, La Repubblica[8] riporta la notizia secondo la quale la nuova politica di moderazione dei contenuti di Twitter avrebbe lasciato ampio spazio a numerosi profili vicini all’estrema destra brasiliana.
Internet è antidemocratico
Quindi, le macerie della democrazia brasiliana non ci raccontano solo di un paese completamente spaccato, con una società polarizzata e attraversata da sentimenti di odio viscerali, ma ci parlano anche di come una infrastruttura digitale abbia fortemente contribuito ad acuire i contrasti, a creare le condizioni di contesto sociale in cui la rivolta è maturata e ad organizzare materialmente l’insurrezione di domenica.
Non si tratta di una estremizzazione, si tratta di un dato fattuale, di cui è necessario prendere coscienza: l’attuale assetto di internet presta il fianco a soggetti interessati ad incidere sulla realtà mettendo a rischio la democrazia. Quanto è accaduto in Brasile non è un fatto isolato ma è la conseguenza diretta del fatto che oggi esistono dei movimenti e dei fenomeni (come la disinformazione, i discorsi d’odio, la propaganda, le influenze improprie) che si muovono in aperto contrasto con la democrazia e che utilizzano i servizi digitali per espandersi, veicolare le proprie idee e agire.
La risposta delle piattaforme non è sufficiente
È altrettanto evidente che i proprietari delle piattaforme di servizi digitali non sono efficaci nel contrastare il fenomeno. Basti pensare che solo il giorno successivo all’assalto di Brasilia, Facebook ha dichiarato[9] che sarebbe intervenuta per rimuovere i contenuti. La società ha spiegato di aver designato gli attacchi come “un evento di violazione”, un’eufemismo se pensiamo che parliamo di chi incita a prendere le armi e loda chi ha appena invaso un Parlamento di un paese democratico. Un tentativo piuttosto goffo per Meta, una società che lotta disperatamente per crearsi una credibilità sul contrasto alla disinformazione.
La verità è che i proprietari dei servizi digitali non contrastano il fenomeno della disinformazione o perché non sono in grado (e quindi hanno perso il controllo delle loro strutture digitali) o perché non sono interessati per motivi economici: l’attenzione degli utenti è la chiave del loro business e non è importante da cosa questa derivi.
L’attuale assetto di Internet (completamente deregolamentato e votato unicamente al profitto dei grandi player del settore) è incompatibile con i regimi democratici di stampo occidentale. Quante democrazie dovranno ancora essere messe in pericolo, prima che si decida a porre delle regole in una realtà del tutto irresponsabile?
Riferimenti